Dopo la
guerra del Vespro la Chiesa messinese si era spaccata tra chi si era
allineato con le posizioni filoangioine di Roma e chi si era schierato
con i ribelli e gli aragonesi. Tra questi ultimi ci fu l’archimandrita
del monastero del S.S: Salvatore , che nel febbraio del 1286 partecipò
all’incoronazione di re Giacomo. Il vescovo Rainaldo da Lentini
lasciò la città per raggiungere Roma con lo scopo dichiarato di
comporre la frattura tra il papato e la città,
lasciando la reggenza della chiesa locale al suo vicario Angelo
Rosso e al Capitolo della Cattedrale. Alla morte di Rainaldo fu nominato
un nuovo vescovo, Francesco della Fontana di Parma, che però non si
insediò mai e alla fine rinunciò alla carica.
Solo nel 1302 la pace di Caltabellotta creò le condizioni per
una soluzione della vacanza con la nomina di Guidotto d’Abbiate,
arcidiacono di Bergamo e cappellano pontificio, da parte di Benedetto XI,
con cui era in buoni rapporti. Ma alla sua nomina pare abbia concorso
una generosa “unzione” di mille fiorini d’oro, divisi a metà tra
la Camera Apostolica e il Collegio Cardinalizio. Il prof. Federico
Martino, in un recente articolo, ha risolto il mistero del casato “de
Tabiatis”, rivelatosi inesistente, con cui gli storici locali avevano
tramandato il nome dell’arcivescovo, attribuendo ad un errore di
lettura la confusione con il vero “de Habiate”, cioè con l’attuale
centro alle porte di Milano Abbiategrasso.
Guidotto d’Abbiate probabilmente proveniva da
una facoltosa famiglia borghese che gli consentì di intraprendere e
portare a compimento gli studi giuridici all’università di Padova.
Guidotto condusse l’episcopato di Messina dal 1304 al 1333, anno della
sua morte, lasciando un buon ricordo di sé e una forte impronta del suo
ministero. In quel tempo la chiesa messinese aveva un cospicuo
patrimonio in rendite di
case, vigne, orti e feudi, dentro e fuori la città, che cresceva grazie
ai lasciti dei fedeli e alle decime sui proventi della regia curia. La
Cattedrale di Messina era una potenza economica non solo in beni
immobili ma con una consistente disponibilità in denaro liquido. L’arcivescovo
spesso si occupava in prima persona di commerci per conto della chiesa
messinese, approfittando delle agevolazioni fiscali concesse dalla
Corona. In questa luce diventa comprensibile la sua richiesta a
Benedetto XI di rimuovere la scomunica contro coloro che commerciavano
con l’Egitto e il sultano di Babilonia, forse anche perché dopo il
Vespro aveva perduto molte delle sue connessioni economiche naturali,
verso la Calabria soprattutto: richiesta che il Papa esaudì. L’ampia
giurisdizione del foro ecclesiastico, inoltre, metteva la chiesa locale
al sicuro dalle interferenze del potere temporale, e i nuovi ceti
egemoni della città avevano tra i loro membri degli ecclesiastici (
Palazzi, Campolo). Tale compromissione con il potere laicoincideva
negativamente sulla condotta morale dei religiosi e scatenava conflitti
con il potere politico e con altre autorità religiose. Guidotto aveva
il potere, concesso dal Papa, di nominare notai, si occupava di di
concessioni di terre( al chierico Manente de Auximi diede un campo
coltivato a grano nella piana di Milazzo), di compravendite di immobili
(nel 1310 acquista dal giudice Santoro de Salvoun casale nella ruga de
Hastariis per demolirlo e favorire con una strada lun accesso migliore
al duomo), metteva su liti (come nel 1305 per riavere un palzzo
circondato da otto salme di terra). E come altri suoi predecessori e
successori continua il conflitto con i brasiliani del monastero del S.S.
salvatore in Lingua Phari: nel 1310 papa Clemente V invita Guidotto a
restituire i beni illecitamente usurpati, ma senza essere ubbidito, se
nel 1318 e nel 1323 Giovanni XXII deve rinnovare l’ordine. Notizie
attinenti alla sua missione di vescovo ci vengono tramandati da Rocco
Pirri, Silvestro Maurolico e Palciso saperi; l’ospedale di Sant’Angelo,
detto della Caperrina, ottiene da Guidotto di essere governato da dodici
confrati. Alla morte di Sant’Alberto decretò che per tre giorni i
messinesi digiunassero, facessero elemosine e pregassero: alla fine dei
tre giorni il corpo del santo ( che secondo la tradizione odorava
soavemente) fu portato nel duomo, mentre si verificavano miracoli al suo
passaggio. Ma nella cattedrale scoppiò una lite tra clero e popolo sul
tipo di messa da celebrare, lite sedata dall’intervento di Guidotto
che invitò tutti a pregare e ad affidarsi al Signore; fu così che
apparvero nell’aria due fanciulli vestiti di bianco che intonarono la
messa di “Confessor non Pontefice”, mettendo così fine alla lite.
Giuseppe Martino

Duomo di Messina- Mosaico del catino dell’abside
centrale: Guidotto d’Abbiate
Tomba di Guidotto d’Abbiate di Goro di
Gregorio- Duomo di Messina